Con un po’ più di coraggio si sarebbe potuto vincere, ma va bene un punto. Lo scorso anno si sarebbero potuto giocare i playoff, ma va bene anche la salvezza. Il pensiero comune è allineato sul low profile reddittizio, seppur non ambizioso. Il patto serie C in cambio del niente pretese soddisfa ormai da più un decennio la tifoseria bustocca, spaventata da quanto succede ai confinanti, precipitati nell’inferno del dilettantismo. Un baratto che di fatto rende sovversivo ogni qualsiasi altro desiderio che preveda di innalzare l’asticella verso traguardi che questa tifoseria meriterebbe. Guardando la Pro Patria di oggi, a parte le nidiata di giovani utili alla causa economica, ma non di supporto per le ambizioni, visto che i migliori vanno via appena la plus valenza diventa interessante, si vedono giocatori che fanno capire come sarebbe bello averne altri per riconciliarci col calcio di qualità. Alcibiade, Nicco e Beretta sono tre, ne mancano otto per dare fuoco ai sogni, e ci si chiede il motivo per cui non ci sia stato un processo di crescita anche minimo, ma costante che possa avvicinare la Pro Patria dove, per esempio, ieri c’era il Lecco e oggi l’Alcione che ha raggiunto il terzo posto in classifica.
Ci si chiede il mago Turotti cosa combinerebbe con un budget superiore a quello che ha oggi tra le mani che ha portato a risultati eccellenti e ci si chiede come e perchè in tutti questi anni di serie C non ci sia stato modo a nessuno di alimentare il sogno con una presenza in società utile allo scopo. Certi arrivi potenziali avevano illuso per il cambio di passo, le quasi immediate uscite, aprono un mondo di domande relative al perfect profile richiesto per sedere in via Cà Bianca.
Così, la Pro Patria continua ad essere un bozzolo mai diventato farfalla, solito 13 esimo posto in classifica, 13esimo rendimento casalingo con due vittorie da Marzo a Ottobre, undicesimo posto come rendimento in trasferta, ultimo posto come reti segnate con 8 reti in 10 partite, settimo posto nelle reti subite ( solito asset di sempre). Due vittorie all’attivo, solo due sconfitte e il resto pareggi. Pareggi che sono la sintesi della realtà bustocca nel suo insieme. Non si vince per non perdere, non si sogna per non disperarsi, non si segna per non subire reti. Tutto è improntato all’equilibrio perfetto che impone l’accettazione del poco al posto del niente e vieta di pronunciare la parola ambizione. L’ambiente si è nel tempo anestetizzato in termini di aspettative autoconvincendosi che il rischio di chiedere di più equivalga a passare per disfattista, per contestatore, perchè convinto che questo è il massimo assoluto e nemmeno si considera che invece è solo relativo.
Rimane la soddisfazione consolatoria, fino ad un certo punto, di gioire per i molti giocatori volati in categorie superiori e transitati per Busto. Una soddisfazione vera, anche se la politica dei giovani intrapresa in casa biancoblu, dovrebbe produrre più talenti della “cantera” nostrana, mentre a memoria l’ultimo prodotto del settore giovanile ora nei professionsiti di alta fascia si chiama Giovanni Zaro, la cui valorizzazione economica, secondo i ben informati che giurano su questo, ha portato nelle casse biancoblu ancor più di quanto arrivato per la cessione di Gatti. Ora, le speranze si chiamano Bashi , Sassaro, Ferri e Piran che vorremmo vedere presto in serie A, oppure poter arrivare insieme a loro in serie B. E’ un diritto dei tifosi poter sognare e davvero non ci sentiamo in colpa quando lo facciamo. Poi , che la piazza di Busto non attragga mai niente e nessuno che possa alimentare questi sogni è una realtà, ma forse è il momento di chiedersi il motivo di questo e fare quel che serve per risolvere queste barriere. Gioire per un pareggio contro il Caldiero, ottenuto in superiorità numerica e in campo neutro, può andare bene ogni tanto, ma qualche volta vorremmo gioire per la grande impresa. Se non è possibile nella realtà, lasciateci almeno l’opzione del sogno, senza sommergerlo con la solita valanga di “si , però…che riporta tristemente ad una realtà che da tempo ha paura di volare per non cadere.
Flavio Vergani